Desidero innanzi tutto dare il benvenuto su questa piazza a tutte le autorità presenti, alle associazioni combattentistiche e d’arma, al relatore ufficiale dell’Anpi Giuseppe Valota, agli studenti delle scuole di Monza eai loro insegnanti che li hanno preparati a questa giornata, ai cittadini, sempre così numerosi.
Sento il dovere, oggi più che mai, di appellarmi ai valori della Resistenza, che riconosco come valori universali di democrazia. Sento questo dovere perché sono consapevole del pericolo che forme ambigue di fascismo possano insinuarsi nel modo di sentire comune, scavando nelle difficoltà della vita odierna. Sono forme che si riconoscono nella tentazione di cercare, spesso nei più deboli, un capro espiatorio per gli innegabili problemi che ci affliggono, che sono però problemi molto complessi, per i quali non esistono soluzioni semplici e che, soprattutto, sono connaturati e strutturali al sistema economico-politico dell’evoluto mondo occidentale.
Riconosco un fascismo strisciante nella discriminazione e nel razzismo che si impossessano della scena sociale e politica di tante democrazie occidentali, quelle democrazie rischiano di non essere più tali se finiranno col costruire muri; lo riconosco nella demagogia, nei proclami altisonanti, nell’ipocrisia di quelli che si rivolgono ai cittadini trattandoli come strumenti da manipolare e non come individui con i qualicondividere e confrontarsi costruttivamente.
E’ nei principi fondativi della Resistenza che dobbiamo ritrovare i rimedi contro il pericolo che l’indifferenza e lo scoraggiamento possano aprire la strada a un fascismo di ritorno, magari meno violento di quello originale, ma altrettanto tragico e dannoso. E tra questi princìpi che si coniuga alla perfezione con i valori della Resistenza e dell’antifascismo che stiamo celebrando qui, oggi, vi è senza dubbio quello della “solidarietà”. In una situazione internazionale che Papa Francesco, senza esagerazione, ha definito “la più grave tragedia umanitaria dopo la seconda guerra mondiale”, non possiamo più voltarci dall’altra parte e pensare di poter affrontare il problema in base a categorie di politica nazionale, se non addirittura locale: non funziona, non può funzionare.
E’ necessario concordare, ai massimi livelli internazionali, una sorta di nuovo piano Marshall che, come nel dopoguerra, aiuti i paesi dai quali milioni di profughi scappano disperati, a intraprendere uno sviluppo sostenibile ed emancipato. E dobbiamo fare molta attenzione a non cadere nel pericolo di un nuovo colonialismo paternalistico basato magari sui nostri buoni sentimenti, ma sempre sul principio della subordinazione di quegli stati. E’ ora di fare in modo che anche quei paesi dove non ci sono guerre dichiarate ma imperversano movimenti di guerriglia e governano regimi illiberali passino a una democrazia compiuta, dove nessuno sia costretto a scappare e la scelta di varcare i confini sia una scelta di libertà. E’ ora finalmente di pensare in termini di giustizia e libertà per tutti. E quale insegnamento è più vicino di questo ai valori della Resistenza?
Consapevoli però, che nell’emergenza, dobbiamo tutti fare qualcosa. E anche il nostro Comune in accordo con altre istituzioni, a cominciare dalla Prefettura, sta facendo il possibile per garantire accoglienza, assistenza, integrazione. L’Amministrazione Comunale non avrebbe potuto mettere in atto iniziative di accoglienza e di solidarietà se non avesse avuto il prezioso contributo della comunità cittadina, della società civile, del terzo settore, delle associazioni, dei volontari. La solidarietà che i monzesi hanno dimostrato e stanno dimostrando anche in questo frangente non è una novità. La nostra è una città che ha imparato la solidarietà anche dai suoi partigiani e dai suoi cittadini che, per aver scioperato nel marzo del 1944 in difesa della libertà e della giustizia, per esempio, hanno affrontato con coraggio la deportazione nei lager nazisti, dove molti di loro hanno trovato la morte.
Mi è capitato negli ultimi giorni di leggere della commemorazione di un giovane uomo del nostro territorio, Vittorio Arrigoni, ucciso cinque anni fa nei territori palestinesi dove faceva il “costruttore di pace”: con tutto l’entusiasmo che è proprio di chi crede fermamente in ciò che fa, diceva di considerarsi un erede della Resistenza. Prestava la sua opera in Medio Oriente e in Africa in difesa dei più deboli, ma quello che lo animava era lo spirito dei nostri partigiani, che a lui era arrivato magari attraverso lo studio della storia, sicuramente attraverso la sua famiglia, ma anche, e su questo non ho dubbi, attraverso giornate come questa, che sono diventate ormai il cemento della nostra democrazia e che le istituzioni devono continuare con tutte le forze a celebrare. Servono a fare in modo che quei principi di giustizia e libertà entrino nell’aria e vengano inalati come ossigeno, che dà vita.
La nostra è la città di Gianni Citterio, medaglia d’oro al valormilitare, e delle altre decine di giovani uomini e donne che hanno pagato con la vita la loro scelta dell’antifascismo, la loro lotta per un ideale di giustizia. Abbiamo sentito dagli allievi della scuola Leonardo da Vinci la vicenda di Edmondo Vicari, un ragazzo di soli 17 anni morto in combattimento per la causa partigiana. Come lui, di poco più anziani, a Monza ce ne sono stati tanti, ed è nostro dovere ricordarli tutti, sempre. Così come è nostro dovere ringraziare e ricordare tutti quei partigiani e combattenti che, avendo avuto la fortuna di sopravvivere, hanno dedicato la loro vita a trasmettere alle generazioni successive i valori della Resistenza per i quali tanto avevano sofferto.
In una giornata come quella di oggi posso dire con orgoglio che stiamo continuando a raccogliere quanto da loro seminato, ricordando soprattutto il carattere estremo della loro lotta. Fermiamoci infatti a riflettere su un fatto importante: i nostri partigiani si sono schierati a favore della libertà sfidando l’ingiustizia e la discriminazione che il regime aveva elevato a legalità. E’ la base di ogni vero riscatto, e richiede un coraggio, una convinzione, una rettitudine morale eccezionali. E proprio per questo, come ci ha ricordato il presidente Mattarella lo scorso anno per la celebrazione del settantesimo anniversario della Liberazione, è impossibile equiparare le due parti. C’è chi ha interpretato valori sbagliati, illiberali, ingiusti; c’è chi ha lottato per affermare giustizia e libertà. C’è un abisso.
Tutti noi abbiamo il dovere di alimentare la memoria dellaResistenza valorizzando i luoghi dove si sono svolti i fatti, organizzando e promuovendo iniziative che ricordino ai cittadini la barbarie perpetrate e la ribellione della nostra città, con il sacrificio di quanti hanno lottato per la giustizia; così come è dovere della scuola – e la presenza di tanti ragazzi oggi dimostra quanto sia un’istituzione forte e sana - impegnarsi per far conoscere e far riflettere su quei fatti, per farne emergere il senso, perché questo senso possa continuare a essere un insegnamento.
Un insegnamento per il quale siamo orgogliosi di ringraziare dei ragazzi così giovani: sono loro, oggi, su questa piazza, la dimostrazione che il sacrificio dei nostri partigiani non è stato inutile.
Vorrei concludere con un’ultima considerazione che è anche un ricordo per le donne, tante, che hanno combattuto il fascismo. Alcune perdendo la vita come Elisa Sala e Salvatrice Benincasa, altre partecipando attivamente alla lotta partigiana come Paola Giannella, Ida ed Elena Citterio, Maria Farina, Maria Riva, Matilde e Maria Parma, Maria Galletti, Augusta Merati, Angela Ronchi, Maria Vismara, Elena Vicari, Elisa e Santina Pezzotta, Ines Zorloni, Marta Giusti, Vera Grattarola, Eugenia Farè e le tante che sono rimaste sconosciute, ma che hanno condiviso persecuzioni e sacrifici insieme a mariti, padri e fratelli, o semplicemente da sole. Le donne della Resistenza hanno dovuto combattere due volte: contro il fascismo e contro il conformismo di allora, che le considerava solo spose, madri, sorelle a casa, ad accudire il focolare.
Le voglio ricordare oggi perché è anche grazie a loro se 70 anni fa, il 10 marzo del 1946 alle elezione amministrative e poi il 2 giugno in occasione del referendum, per la prima volta le donne in Italia poterono partecipare al voto. Ecco, dobbiamo ricordare che, la lotta di liberazione fu anche questo. Parità per tutti, donne e uomini. E proprio ricordando un passo della testimonianza che ci ha lasciato Eugenia Farè, insegnante e nipote del primo sindaco di Monza liberata, vorrei concludere questa bellissima giornata:
“ Formai una piccola cellula con alcune altre giovani monzesi e iniziammo il lavoro. Nessuna preclusione ideologica, purché ci fosse concordanza su alcuni obiettivi di fondo, quali una diversa concezione della posizione della donna nella società e il riconoscimento dei suoi diritti di parità assoluta con l’uomo e di partecipazione alla vita politica e sociale (…) Se ripenso agli anni passati e confronto la situazione della scuola di allora con quella di oggi, credo di poter affermare che i primi scossoni li abbiamo impressi noi. Ma c’è anche il rischio che, se altri non continueranno l’opera, si ritorni indietro. Per questo resisto. Per quanto riguarda il mondo femminile, i primi passi verso la soluzione di tanti problemi sono stati fatti grazie ai Gruppi di Difesa della Donna e l’Unione Donne Italiane. Poi è venuto il femminismo che ha accelerato i tempi, ma anche in questo campo nessuna conquista è mai definitiva e bisogna continuare a lavorare. In fondo - concludeva Eugenia – la Resistenza continua.”
Buon 25 aprile a tutti!