Mai come oggi, in un’epoca costellata da episodi di violenza e dall’incubo del terrorismo, è importante commemorare il 27 gennaio, il giorno in cui le truppe alleate liberarono il campo di sterminio di Auschwitz, rivelando al mondo un orrore inimmaginabile. Da allora, il mondo non è stato più lo stesso. Dopo i primi periodi da quella data in cui si sono ricostruite le città distrutte e si è lavorato per restituire alle persone, alle famiglie, una certa normalità, si è incominciato a riflettere sul perché dei lager, e si è incominciato a lavorare perché tragedie simili non si potessero ripetere. 

La politica ha fatto la sua parte, si è costruita un’Europa basata sull’integrazione, sul riconoscimento reciproco; si è lavorato per sradicare ogni forma di razzismo e per ristabilire la pace e la giustizia, tanto che oggi il nostro continente è diventato l’emblema della democrazia, la meta agognata di popolazioni disperate in fuga da guerre e devastazioni. Se gli stati, se la politica, hanno fatto la loro parte in questo processo, se hanno saputo ricostruire gli edifici distrutti, se hanno saputo risollevare le sorti dell’economia, c’è stato anche un grande lavoro per ricostruire le coscienze, per ristabilire il primato della democrazia. E il merito di questo è anche di tutti coloro che sono tornati dai lager e hanno sentito il dovere, eroicamente, di elaborare la loro tragica esperienza a vantaggio della nuova società che stava nascendo. Quanta sofferenza deve essere costata loro, ai sopravvissuti dei lager, la memoria?

 

Possiamo dire, senza paura di essere retorici, che la loro testimonianza è stata, un gesto di coraggio. Ricordo la voce tremante di Angelo Signorelli, di Vittorio Bellini quando raccontavano della loro vita nei lager, dei loro sentimenti, delle loro paure; ho davanti agli occhi il coraggio di quegli uomini e di quelle donne, tornati dai campi di concentramento, che hanno mostrato per anni, ai ragazzi delle 2 scuole, il numero tatuato sul loro braccio, rispondendo con la precisione degna di un filologo alle domande, involontariamente crudeli, di quegli studenti che faticavano a capire gli abissi della persecuzione. La testimonianza è vissuta da loro come un dovere, non solo per salvare dall’oblio i loro compagni di prigionia che non hanno fatto ritorno, ma anche e soprattutto per evitare che l’orrore da loro vissuto si potesse ripetere.

Ogni anno purtroppo i nostri testimoni sono sempre di meno; anche quest’anno ne abbiamo dovuti salutare alcuni: lasciatemi ricordare Gianfranco Maris, deportato a Mauthausen e a Gusen, storico presidente dell’Aned; e lasciatemi ricordare anche il nostro concittadino Aurelio Sioli, che dopo l’esperienza di deportato politico a Mauthausen, ha dedicato la sua vita al giornalismo, che per definizione è il luogo ideale della testimonianza. La testimonianza si accompagna dunque al ricordo. Dobbiamo ringraziare tutti quelli che, a rischio della propria vita, della propria sicurezza, ma anche solo sacrificando i loro agi da figli dell’evoluta civiltà occidentale, scelgono di testimoniare l’ingiustizia che si compie per il mondo.

Con il loro impegno sono gli eredi autentici dei nostri deportati, dei nostri prigionieri che, se avessero avuto chi testimoniava per loro, chi denunciava le ingiustizie da loro subite, forse avrebbero avuto una sorte diversa. Detto questo, dobbiamo stare sempre attenti al pericolo che le informazioni vengano manipolate a favore di questo o quel gruppo di potere e di interesse; dobbiamo sempre verificarle con spirito critico. A ciascuno di noi, che facciamo parte della generazione dei figli, spetta il compito di continuare ad alimentare la macchina della memoria, ciascuno con i propri strumenti; e dobbiamo ringraziare le persone che mettono al servizio della società le loro ricerche oppure la loro esperienza di figli di chi, dai lager, non ha fatto ritorno. Per quanto ci riguarda, l’Amministrazione comunale ci tiene in particolare a promuovere iniziative di memoria, soprattutto nelle scuole, e comunque cercando di catturare l’attenzione dei più giovani, ai quali è nostro preciso dovere passare il testimone.

Ecco perché abbiamo scelto di commemorare 3 questo 27 gennaio, per esempio, con una mostra di fumetti, particolarmente adatti a parlare ai giovani. Non nascondo poi la soddisfazione e l’orgoglio nel leggere notizie come quella del giovane monzese che si dà da fare per ricostruire la storia del suo bisnonno, Carlo Samiolo, morto a Gusen per non aver voluto rivelare i nomi degli operai che avevano aderito alle proteste contro il regime fascista nel marzo 1944. Sono la stessa soddisfazione e lo stesso orgoglio che provo nel trovare oggi, in questo luogo dal quale tanti nostri concittadini partirono per la prigionia, la presenza di tanti ragazzi, che saluto con affetto incitandoli a non dimenticare mai.